FEMMINICIDIO

domenica 19 aprile 2009

Gli Stati Uniti verso la ratifica della CEDAW


Cedaw, è l'ora della ratifica?
di Peggy Simpson

Il fatto che l'Amministrazione Obama abbia messo la Cedaw, la Convenzione delle Nazioni unite contro tutte le discriminazioni sulle donne, tra i primi tre trattati ONU da ratificare, non significa automaticamente che il Senato collaborerà. Che questo sia il momento giusto, per la ratifica del trattato, é fuor di dubbio. I democratici hanno la maggioranza al Congresso, hanno conquistato la Casa Bianca, e la Cedaw ha anche il sostegno di alcuni repubblicani. Ma provare a ratificare un trattato mentre è in corso una crisi dell’economia globale come quella che stiamo vivendo può presentare molte incognite. Se la principale preoccupazione della gente è la perdita del posto di lavoro, il coinvolgimento della società civile (principale obiettivo di ogni trattato, quindi, anche della Cedaw) potrebbe trasformarsi in un ostacolo.Tra gli attivisti, c'é chi pensa che sarebbe meglio impegnare gli sforzi per cambiamento costituzionale sotto forma di un emendamento ai Diritti di Uguaglianza, piuttosto che rimettersi in pista per la ratifica della CEDAW. La destra religiosa, anche se ha meno potere di prima, potrebbe prendere a pretesto questa ratifica per riaggregarsi, come sembra stia facendo con un altro trattato delle Nazioni Unite, quello sui diritti dei bambini. Per capire dunque a che punto stiamo, passiamo la Cedaw a raggi x. 96 sono le città, contee e stati che hanno già approvato la risoluzione con cui il Congresso dovrebbe ratificarla. Nei primi giorni dello scorso mese di gennaio, la deputata Lynn Woolsey, rappresentante della California, ha presentato al Senato una mozione di sollecito, sottoscritta da 121 co-sostenitori. Per Ruth Nadel, National Democratic Women's Association, uno dei 200 gruppi di pressione più forti, il passaggio " da una vecchia era ad una nuova ci lascia ben sperare: ratificheremo la Cedaw”. "Oggi c’è una volontà politica più forte” di guardare seriamente alle leggi per i diritti umani, ed alle leggi internazionali che possono interessare anche il nostro Paese, aggiunge Sarah C. Albert, attivista Cedaw prima come direttrice della General Women's Federation", ed ora come responsabile Usa della politica sociale e legale YWCA. Albert sottolinea anche il “nuovo interesse con cui gli Stati Uniti sono guardati dall’estero”. Opporsi ancora alla ratifica della Cedaw equivarrebbe, secondo la direttrice YWCA, "ad appannare gli sforzi che vengono fatti per intervenire sui trasgressori dei diritti umani negli altri Paesi del mondo.". La Cedaw, la Convenzione contro tutte le Discriminazioni verso le donne, è nata dall’Anno Internazionale Onu delle Donne, 1975. Sostanzialmente, è una Carta dei diritti delle donne, e come tale é stata utilizzata da molti gruppi e associazioni della società civile, che vi hanno fatto riferimento come moneta corrente per le leggi nazionali di estensione dei diritti femminili. Ad oggi, sono solo 8 i Paesi che si rifiutano di ratificarla, gli Stati Uniti d’America, l’Iran, il Sudan, la Somalia, il Qatar, le isole di Nauro, Palau e Tonga. L’opposizione alla Cedaw cambia da Paese a Paese. Negli Stati Uniti, le critiche più consistenti hanno riguardato il diritto religioso dei conservatori, e delle piccole ma vigorose comunità fondamentaliste del Paese. Ad inviarla per la prima volta al Senato per l’approvazione (senza risultato) fu il presidente Jimmy Carter. George W. Bush l'aveva inizialmente appoggiata, tamto che nel 2002 Colin Powel, segretario di Stato, era arrivato a dichiarare in Commissione per le Relazioni Esterne che la Cedaw era “auspicabile e avrebbe dovuto essere ratificata.”. Ad opporsi immediatamente, allora, era stato il Procuratore Generale John Ashcroft. Ashcroft si dichiarò contrario alla ratifica anche parziale della Cedaw sia come senatore che come avvocato del Governo, e in questa doppia veste, abile e astuto, riusci ad esercitare tutta la sua influenza, bloccando la ratifica. Dopo il contenzioso del 2002, il testo della Convenzione non benne mai presentato per intero al Senato, nonostante il sostegno bipartisan nelle audizioni, e in tutta la presidenza Bush non è stato mai inserito negli affari all'ordine del giorno. Adesso, la senatrice Barbara Boxer, rappresentante della California, è pronta a sostenere nuove audizioni davanti alla sottocommissione delle Relazioni Estere del Senato. Nel caso di approvazione, come previsto, il testo verrebbe inviato all'intera Commissione, guidata da John Kerry, rappresentante del Massachusett, e sicuro sostenitore della Convezione. La senatrice Boxer ha detto che intende emendare il testo della Convenzione dalla dozzina di restrizioni aggiunte nel 2002, durante quel fallito processo di ratifica. Le restrizioni, cosiddette RUD - per le riserve, gli accordi e le dichiarazioni -, includono clausole volte a garantire che il trattato non possa costringere il governo al congedo di maternità retribuito, e le donne a prestare servizio militare nelle unità di combattimento. La clausola più controversa tuttavia riguarda il diritto religioso, e cioè che il trattato non deve essere inteso come avallo di un diritto all'aborto. Il Dipartimento di Giustizia sta esaminando le restrizioni RUD e pronuncerà il suo parere, favorevole o contrario, quando la Cedaw sarà inviata al Senato per il parere ed il consenso. Durante tutta la campagna presidenziale dello scorso anno, il presidente Obama, il vice presidente Joe Biden e il segretario di Stato Hillary Clinton hanno sostenuto la Cedaw. Tra gli altri sostenitori di rilievo, un posto a parte merita Harold Koh, preside della Facoltà di Legge di Yale, nominato consulente legale del Dipartimento di Stato, e in questa veste legittimato ad esprimere il suo parere ufficiale. Koh aveva dichiarato in precedenza che la Cedaw è silente sul tema dell’aborto e che la sua ratifica non incide su come ciascun Paese decide di occuparsi dei diritti riproduttivi. In trent’anni di vita, tuttavia, un buon numero di pareri giuridici che criminalizzano l’aborto citano la Comvenzione come responsabile di ispirare le leggi per l'interruzione di gravidanza dei Paesi dove è stata ratificata. Ecco perché molte attiviste dei diritti delle donne, degli Stati uniti e degli altri Paesi, guardano con preoccupazione al processo di ratifica degli USA alla luce della riserva sull’aborto inserita nel 2002. Janet Benshoof, Global Justice Center, ritiene che la riserva sia “stata elaborata proprio come strumento contro l’aborto”…, la sua inclusione metterebbe dunque a repentaglio a livello mondiale l’accesso delle donne ai servizi per la salute riproduttiva. Per essere ratificato, un trattato ha bisogno di 67 voti del Senato, e basta solo il voto contrario di un senatore, per qualunque motivo, per mettere alle corde l 'intero voto. Di nuovo, intanto, c'è che quest’anno, a differenza che nel passato, l'identità del senatore dovrà essere rivelata.
09/04/2009

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