FEMMINICIDIO

mercoledì 19 novembre 2008

Intervista sul femminicidio

24 ottobre 2008 10:36

Vittime: femminile plurale

Barbara Spinelli presenta a Faenza il suo libro del femminicidio, da Ciudad Juarez all'Italia.

Dalla pagine di cronaca sono studentesse uccise dai fidanzati, prostitute vittime di serial killer, bambine orientali nate in famiglie già troppo numerose.
Ma «femminicidio» non significa solo «omicidio di donne»: è un neologismo che indica un concetto più ampio di violenza di genere, come spiega la giurista Barbara Spinelli, ospite dell’associazione Sos Donna di Faenza venerdì 24 ottobre per presentare il suo libro «Femminicidio. Dalla denuncia sociale al riconoscimento giuridico internazionale»
Innanzitutto. Cosa significa «femminicidio»?
«E’ un’ulteriore derivazione di “femicide”, concetto nato dopo la denuncia del caso della città messicana di Ciudad Juarez, divenuto ormai l’emblema delle atrocità nei confronti del genere femminile. Con quel termine, già dagli anni 90, si intendeva l’omicidio di una donna “in quanto donna”, sottolineandone la matrice misogina e sessista. Il concetto ha iniziato a farsi strada quando è stato riconosciuto quanto lo stupro abbia come significato un esercizio di potere nei confronti delle donne. Con l’evoluzione del termine in “femminicidio” si è voluto ampliare il raggio, includendo ogni tipo di violenza, fisica, psicologica, sessuale, volto all’annientamento della donna».
Qualcosa accomuna questo fenomeno nei diversi angoli della terra?
«La violenza si scatena nel momento in cui la donna sceglie di uscire dal ruolo che la società le ha cucito addosso: moglie, madre e oggetto sessuale. Quando una donna inserisce una componente di autodeterminazione nella sua vita, allontanandosi da un modello che la vuole sottomessa, innesta un corto circuito nel sistema di potere tra i generi. Spesso gli episodi di violenza più cruenti si sviluppano in una fase di distacco».
La situazione in Italia?
«I centri antiviolenza hanno svolto e svolgono tuttora un compito importante nell’acquisizione di consapevolezza. Per esempio: in casi di separazioni da soggetti potenzialmente pericolosi possono essere applicati provvedimenti restrittivi che allontanino il maltrattante dalla donna e dagli eventuali figli. Ma a volte sono gli avvocati difensori stessi a non conoscerli e richiederli o la scarsa tempestività dei tribunali a comprometterne la messa in atto. Purtroppo ancora oggi ci si rende conto del pericolo quando la situazione è già grave».

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